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BARBARA MI GUARDA
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QUELLA BAMBOLA LÀ
2 Aprile 2019

TITTO E IL PALLOCCO

L’aria puzzava di Mango, ogni porta faceva credere

ad un senso diverso, la finestra lasciava entrare

aria filtrata, di tutta una pace, ne avremmo fatto

una ragione. Le ore, a contarle ci metti una vita


se poi apri i gomiti, altre si toccano da qualche parte

i rispettivi dispetti. C’eri anche tu, quella sera

eri la nostra tempesta migliore, uccidevi quello

che sarebbe diventata una piacevole serata.


Un altro bicchiere, un’ennesima sedia priva di cuscino

il locale, da Gustavo pareva una chiesa, dentro

un alito gigante, avevi un chiaro senso di puttana

io ci stavo così male, che tremolavo per il bene.


Avevo ricevuto il mio caffè, me lo ricordo quando

Claudio chiuse il giro sugli arrosti, era di un presto

indecifrabile, i bicchieri erano allineati giusto per

un boato, un vuoto esagerato. Credevamo di avere


una pancia da grattare, credevamo di avere un tempo

finito male, dovevo essere perentorio. Saremmo potuti

diventare la fucina, del principio illuminato, di qual cosa

di eterno, di qualcosa mai nato. Giusto un prototipo


del mio mestiere, l'annusatore di qualche bordello. Ora invece

la foschia ci abbaglia per averci vicini, ma nessuno si sbaglia

a contarci le dita. E' quello il momento di essere saturo.

Saturo, è il battito in appoggio, ma è tardi, continuamente


troppo tardi tra di noi, un altro film, un ennesimo spettacolo

della Savana, vista impero. Io ci spero, essere fuori, sulla vista

delle terre. Noi siamo troppo bestie, e le bestie si cibano reciprocamente.

In nessun caso tengono al mondo, anche se ci costa tanta fatica.


Ma, ne varrà la pena? Le frottole si confondono a seguire i buoi

io, per non sbagliare mi porto Titto e il Pallocco, loro si che capiscono

al volo, il minimo movimento, gli occhi che ridono per gli incontri

loro si che abbattono muri e infilano tempeste dei mari e dentro le feste.

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